Dalle Fonti Francescane apprendiamo che: “Francesco aveva per il Natale del Signore più devozione che per qualunque altra festività dell’anno. Invero, benché il Signore abbia operato la nostra salvezza nelle altre solennità, diceva il Santo che fu dal giorno della sua nascita che egli si impegnò a salvarci. E voleva che a Natale ogni cristiano esultasse nel Signore e per amore di lui, il quale ha dato a noi tutto se stesso, fosse gioiosamente generoso non solo con i bisognosi, ma anche con gli animali e gli uccelli. ” (FF 1669).
Il brano che in seguito riporto, tratto dalla “Vita Seconda di San Francesco d’Assisi” scritta dal beato Tommaso da Celano, ci fa conoscere quanta devozione avesse il Santo per questa Solennità, e quanto l’amore con cui Cristo ci ha amati venendo al mondo nella santa e umile famiglia di Nazaret povera di mezzi di sussistenza ma ricchisima, sovrabbondante di ogni bene spirituale, infiammasse ancor più Santo Francesco d’amore verso il Creatore e tutte le sue creature, e quanto desiderava che tutti potessero avere cibo in abbondanza; cosi come desiderava che i più ricchi saziassero i poveri e i mendicanti, questo ad imitazione del Signore che, generoso, ricco di ogni bontà, facendosi piccolo e povero, si è donato all’umanità bisognosa. Voleva in quel giorno abbondanza in tutto, come abbondante è l’amore del Signore.
LA SUA DEVOZIONE AL NATALE DEL SIGNOREE COME VOLEVA CHE IN TALE GIORNO Sl PORTASSE SOCCORSO A TUTTI
Al di sopra di tutte le altre solennità celebrava con ineffabile premura il Natale del Bambino Gesù, e chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato ad un seno umano. Baciava con animo avido le immagini di quelle membra infantili, e la compassione del Bambino, riversandosi nel cuore, gli faceva anche balbettare parole di dolcezza alla maniera dei bambini. Questo nome era per lui dolce come un favo di miele in bocca.
Un giorno i frati discutevano assieme se rimaneva l’obbligo di non mangiare carne, dato che il Natale quell’anno cadeva in venerdì. Francesco rispose a frate Morico: «Tu pecchi, fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambino. Voglio che in un giorno come questo anche i muri mangino carne, e se questo non è possibile, almeno ne siano spalmati all’esterno.
Voleva che in questo giorno i poveri ed i mendicanti fossero saziati dai ricchi, e che i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante del solito. «Se potrò parlare all’imperatore — diceva — lo supplicherò di emanare un editto generale, per cui tutti quelli che ne hanno possibilità, debbano spargere per le vie frumento e granaglie, affinché in un giorno di tanta solennità gli uccellini e particolarmente le sorelle allodole ne abbiano in abbondanza».
Non poteva ripensare senza piangere in quanta penuria si era trovata in quel giorno la Vergine poverella. Una volta, mentre era seduto a pranzo, un frate gli ricordò la povertà della beata Vergine e l’indigenza di Cristo suo Figlio. Subito si alzò da mensa, scoppiò in singhiozzi di dolore, e col volto bagnato di lacrime mangiò il resto del pane sulla nuda terra.
Per questo chiamava la povertà virtù regale, perché rifulse con tanto splendore nel Re e nella Regina. Infatti ai frati, che adunati a Capitolo gli avevano chiesto quale virtù rendesse una persona più amica a Cristo: « Sappiate–rispose, quasi aprendo il segreto del suo cuore–che la povertà è una via particolare di salvezza. Il suo frutto è molteplice, ma solo da pochi è ben conosciuto ».
(Fonte “Vita Seconda di San Francesco d’Assisi” – vivificat.wordpress.com)
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