«Ecco, ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con la vista del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con occhi spirituali, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero. E in tal modo il Signore è sempre con i suoi fedeli, come egli stesso dice: “Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo” (Mt 28,20)» (Am I,16-22: FF 144-145).
L’Ammonizione I di S. Francesco – nel suo contesto giovanneo del vedere e credere, e del passare dalla carne allo Spirito – instaura un originale parallelo tra l’Incarnazione e l’Eucaristia. Entrambe partecipano della dinamica teologica, cristologica della kenosis (cfr. Fil 2,6-8): abisso di umiltà a Nazaret, nel grembo della Vergine; abisso di umiltà sull’altare, ogni giorno, tra le mani del sacerdote. Ciò che avvenne un’unica volta nella storia, all’Incarnazione del Verbo, si ripresenta ogni giorno nella celebrazione liturgica della Chiesa. L’Eucaristia si svela come mistero di quotidiana umiltà, quasi di quotidiana Incarnazione. E davanti a questo mistero l’uomo è chiamato, come gli apostoli dinanzi all’umanità di Gesù, a passare dalla carne allo Spirito, dalla vista carnale alla vista spirituale, per riconoscere e adorare il Signore al di là delle apparenze.
Alla luce di questo discorso dell’Ammonizione I, si può rileggere e comprendere più a fondo la famosa pagina di Tommaso da Celano sul Natale del 1223 vissuto da Francesco a Greccio, nella valle di Rieti (1Cel XXX,84-87: FF 466-471). Vi si narra della cornice scenica voluta dal Santo con la mangiatoia, il fieno, il bue e l’asinello; dell’Eucaristia (la Veglia di Natale) celebrata solennemente sulla mangiatoia; dell’omelia di Francesco, dopo la proclamazione del Vangelo, che rapisce i cuori dei presenti; della visione di un fedele, di Gesù Bambino giacente nella mangiatoia, risvegliato o risuscitato da Francesco.
Cosa ha voluto vivere e rappresentare il Poverello in quella notte santa? Non solo – come evidenzia il Celano – la memoria della concreta povertà del Bambinello a Betlemme, nel momento storico della Natività; bensì anche il mistero della Sua povertà nell’oggi liturgico della Chiesa, nella celebrazione eucaristica. Dov’è infatti il Bambinello a Greccio, nella rievocazione di quel presepe, se non nel Pane e nel Vino consacrati sull’altare, sulla mangiatoia appunto? A Greccio la mangiatoia accoglie ancora Lui, proprio come l’aveva accolto a Betlemme; Lui allora Bambino, Lui ora Pane e Vino.
Greccio, con quella Messa del Natale 1223 celebrata sulla mangiatoia, diventa veramente, come commenta il Celano, una nuova Betlemme. Ma a ben guardare, alla luce dell’insegnamento dell’Ammonizione I, non è solo Greccio la nuova Betlemme. Perché Betlemme, ossia “casa del Pane” (questo in ebraico significa il nome della città), diventa in realtà ogni Messa, ogni celebrazione eucaristica, in qualsiasi luogo del mondo e in qualsiasi tempo della storia avvenga:
«Ecco, ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote» (Am I, 16-18: FF 144).
Dipinto di Carmelo Ciaramitaro
(Fonte www.ilsycomoro.it)
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