Quarant’anni fa la visita di Giovanni Paolo II a Rieti e Greccio

2.Gennaio.1983.S.GiovanniPaoloII (1)

2.Gennaio.1983.S.GiovanniPaoloII (1)Ricorrono quarant’anni dalla visita di papa Giovanni Paolo II a Greccio e Rieti: un ricordo indelebile per chi ha avuto la possibilità di vivere un momento di grande importanza storica e spirituale

L’unica via per salvare il mondo è quella indicata dal Vangelo: potrebbe essere questa la sintesi del messaggio che papa Giovanni Paolo II volle dare dalla Valle Santa, il 2 gennaio 1983.

A distanza di quarant’anni, la visita di Wojtyła a Greccio e Rieti resta un ricordo indelebile per chi ha avuto la possibilità di vivere un momento di grande importanza storica e spirituale, ma può avere ascendente anche su chi era troppo piccolo per ricordare o addirittura non era nato. All’inizio di quest’anno siamo al quarantennale di quei momenti ed è doveroso tornarci sopra. Allora si concludeva l’ottavo centenario della nascita di san Francesco, quest’anno inizia l’ottavo centenario dei momenti decisivi della piena maturità del santo, a partire dall’approvazione della Regola, scritta a Fonte Colombo e immediatamente seguita dalla creazione del primo presepe di Greccio, nel Natale del 1223.

Il carattere francescano del Reatino è dunque uno dei fili che lega quel passato al nostro presente. In quarant’anni molte cose sono cambiate: anche la realtà locale ha conosciuto crisi e mutazioni, ha dovuto confrontarsi con le trasformazioni politiche, con i contraccolpi della globalizzazione, con una digitalizzazione non del tutto decifrata. Ma il riferimento a san Francesco è rimasto costante, è anzi cresciuto nella consapevolezza comune. Ecco allora che risuonano preziose le parole pronunciate dal Santo Padre durante la cerimonia di benvenuto a Rieti, mentre individuava la passione di san Francesco per la Valle Santa e la sua gente in «un solido substrato umano», adatto a «reggere e assorbire senza traumi tutti i numerosi mutamenti storici e sociali, fattisi ancor più rimarcati nel nostro tempo».

La pandemia e i suoi strascichi, la guerra alle porte dell’Europa, la crisi climatica e le difficoltà della transizione ecologica, lo squilibrio energetico e il suo portato economico erano ancora lontani. I problemi del 1983 ci sembrano di minore portata, ma forse è solo perché superati da tempo: la verità è che le circostanze di rado sono favorevoli.

Ma tutto cambia se si assume il punto di vista del Vangelo: «Ad una società come la nostra, tutta protesa al superamento della sofferenza, della schiavitù, della violenza e della guerra, e al tempo stesso precipitata nell’angoscia di fronte alla paventata inutilità dei propri sforzi, è necessario – dopo averlo così testimoniato – predicare il Vangelo con tutta mitezza», disse papa Wojtyła a Greccio rivolgendosi alle famiglie francescane, invocando insieme il «santo coraggio per convincere i cristiani che non si diventa uomini nuovi che assaporano la gioia, la libertà e la pace, se non riconoscendo anzitutto il peccato che è in noi».

Il Vangelo, spiegava Giovanni Paolo II agli amministratori locali, «accolto e vissuto nella sua genuinità» non può che andare «a vantaggio della persona umana nella sua integralità».

Anche, o forse soprattutto, quando viene confessato insieme ai propri limiti di uomini di poca fede, di territorio dalle risorse trascurate, di società forse non ancora matura. Fiducia e pentimento alla luce del Vangelo: quale suggerimento migliore per iniziare l’anno nuovo?

(Fonte www.valledelprimopresepe.it)

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